Diario di Viaggio di Linda

Dal 5 al 22 Febbraio 2017

05 Febbraio 2017

Dopo qualche minuto di turbolenza l’aereo ha ripreso stabilità: è il momento adatto per scrivere. Mi rendo conto che scrivere un diario di viaggio sia, per una mente costantemente in fermento come la mia, un duro lavoro di ricerca e selezione, ma la gratitudine che provo nel sentire di aver ricevuto tutto questo come un prezioso ed irripetibile dono mi spinge non soltanto a coltivarne la memoria per me stessa, ma anche a trasformarne il significato in una qualche possibilità di comunicazione.
Michael mi aveva detto che tutti -Europei ed Americani- pensano che l’Africa sia un Paese. Invece l’Africa è un continente, formato da molti Paesi, tra loro molto diversi. Mi aveva anche detto che l’Africa non è come la rappresentano nei documentari: 《La gente là si alza la mattina presto e va al lavoro esattamente come qui.》 Sentii un pizzico di delusione, ma le mie certezze, ben lontane dalle immagini della TV, mi tennero salda: 《D’accordo, ma l’Africa è una terra speciale.》Così dovette intuire qualcosa quando mi disse: 《Ti riferisci a ‘Ubuntu’?》, quasi impaziente di essere disconfermato. 《Che cos’è ‘Ubuntu’?》, feci io perplessa. 《Oggi tutti parlano di Ubuntu. Così l’Africa viene esaltata pensando a questa forma di filosofia animista… una specie di inconscio collettivo… ma io non ne so niente, è meglio se cerchi su internet, troverai informazioni più corrette.》
Michael è stato per me un grande maestro di umiltà. Anche se per metà austriaco, si può dire che avesse ereditato in toto quello spirito di rispetto assoluto per gli uomini e per il mondo intero, per la natura e per le cose, per il bene e anche per il male, che contraddistingue ogni anima africana.
Quella sera cercai qualcosa a proposito di Ubuntu, ma in fondo capii che Ubuntu per me era parlare con Michael.

 

06 Febbraio 2017

Sono in Africa.
Ieri sera atterrati ad Antananarivo alle 23:30. Ad aspettarci 30 umidi gradi e tanti ometti scuri con addosso una blusa gialla catarifrangente. La notte si è pernottato da Arlette, l’avvocato di Mondobimbi; stamattina si è ripartiti di buon’ora con un pulmino e le valigie a parte, su un altro mezzo, in direzione Tuléar. Dopo poco meno di 500 kilometri in dodici ore di viaggio, ci siamo fermati a Fianarantsoa, in un albergo di strada già prenotato da Sandra settimane fa. É qui che scrivo queste sintetiche righe, segnate dalla stanchezza del viaggio e dalla pesantezza degli occhi, pieni di immagini catturate.
Questa bella camera d’albergo mi rinfresca di luce e di pace, nonostante l’ora ormai buia e i cani che si sentono abbaiare fuori dalla finestra.

Il Madagascar è più povero di quanto pensassi; tuttavia, il Madagascar è un Paese molto ricco. Dera in auto mi ha spiegato che il sottosuolo è ricco di oro e pietre preziose, soprattutto zaffiri. La terra argillosa tinta di fuoco dal grande vulcano ancora attivo fa nascere il verde intenso delle terrazze di risaie. I Malgasci sono per la maggior parte instancabili contadini che lavorano la loro terra, ha continuato Dera.

Una giovane donna, quasi trentenne probabilmente, vista la fisionomia molto giovanile della popolazione malgascia, ci dava accuratamente dimostrazione della lavorazione delle corna di zébu, per ricavarne dei cucchiaini. Lui, un piccoletto esile e sporco, come tutti i bambini, balzò fuori da dietro le panchine blu per i pochi turisti spettatori e si legò attorno alle gambe della donna, supplicandola nella propria lingua. Lei, la mamma, era certamente sicura sia che il figlio l’ avrebbe aspettata risparmiandosi le lacrime, sia che noi turisti saremmo rimasti inteneriti da quella scena piuttosto che sentirci disturbati dalla breve interruzione. Il bimbetto (non credo più di due anni di vita) si staccò rapidamente dal corpo della mamma e si mise a correre. Lo richiamai con un sorriso e gli feci segno con la mano sulla panchina di venire a sedersi davanti a me. Non esitò a fare come gli era stato indicato. Io e Marco, seduti uno accanto all’altro, ci godemmo la tenerezza di quel bimbo per la restante durata della presentazione. Era vestito di sole mutande, colorate ma luride e una maglietta logora. Piedini scalzi, braccia sottili come quelle di un neonato, occhi bruni e lucidi come quelli di un anziano signore. Alla fine non potei resistere dal passare la mia mano tra i suoi capelli rasati e cautamente gli accarezzai la guancia. Forse volevo restituirgli un pò di quella bontà che lui per natura irradiava. Il suo viso si fece serio; non era più un bambino. Fu un attimo che aprì la bocca e, in italiano, mi disse “GRAZIE”.

07 Febbraio 2017

Stamani alle 7:30 eravamo già di nuovo per strada. Gli ultimi cinquecento kilometri fino a Tuléar sono stati un’escalation di siccità, caldo e povertà. Abbiamo attraversato luoghi in cui è totalmente assente e i bambini fanno kilometri a piedi per riempire delle taniche in un laghetto di fango. Monsieur Fali ha frenato all’improvviso per dare una bottiglia d’ “Eau Vive” à tre bimbetto che ci rincorrevano sull’asfalto.
Anche oggi gli occhi hanno visto tanto. La mente tenta di evadere quelle strane domande difficili da ascoltare, come un genitore incapace di rispondere ai mille perché di un figlio. Il cuore è reso così muto, a tratti vorrebbe insorgere e ribellarsi, ma nella lotta intestina sotto il sole cocente arriva infine a chiedersi se la giustizia appartenga davvero alla nostra facoltà di pensiero. O se sia piuttosto qualcosa che ci siamo costruiti arbitrariamente. Se non siano anzitutto i nostri pensieri compassionevole quelli sbagliati e inammisibili, perchè falsi senza alcun presupposto veramente umano proprio come il nostro prepotente senso di giustizia.
In fondo all’ unica strada possibile che collega il nord al sud del Madagascar, che cavalca le montagne di rocce levigate dal vento, attraverso campi abitati solo da cactus e baobab, aggira la Table -il tavolo di roccia- per sfociare nell’ Oceano Indiano, in fondo a quella via tutto si esaurisce in un “Chi sono io?”.
La maison a Betania -Tuléar- è una villetta di lusso recintata in una ville di spaventosa povertà. Non si può pensare a quello che c’è fuori dal cancello mentre si sta qui dentro.
Il caldo afoso ricorda una sensazione di trovarsi tutti appiccicati in pochissimo spazio. In effetti è davvero un po’ così…è un calore umano, di chi si è incontrato nello stesso posto e ha deciso di stare con l’altro perché l’altro ha bisogno di lui e lui ha bisogno dell’altro.
Nella mia camera hanno appeso una zanzariera rosa sopra il letto, coordinata con la tenda della finestra e quella messa sull’entrata, dove la porta è aperta sul corridoio. Il letto non è appoggiato alle pareti, ma piuttosto centrale nella stanza. Non so se ci sia un motivo, ma sicuramente vi è un ordine.

 

 

09 Febbraio 2017

Mattina appena sveglia : nella sala da pranzo i raggi del sole non riescono ad entrare. Rosa e Vula imbandiscono la tavola di pane, frutta, marmellata e acqua calda. Dopo la colazione, si andrà a scuola. Mi torna in mente l’incontro con tutti i bambini, gli insegnanti e la troupe di educatori di ieri mattina, come il momento più emozionante vissuto finora.

I taxi ci hanno lasciati di fronte al cancello di ferro rosso della scuola. Una guardia lo tiene socchiuso lasciando intravedere un quadro impressionista a macchioline nere e rosa su un cielo azzurro. Tutto d’un tratto mi sono come risvegliata da un sogno: sono qui, in Madagascar, alle porte di una realtà difficile da definire -di fatto una scuola sorta in mezzo all’analfabetismo, finanziata e sostenuta da italiani-, tratteggiata dagli occhi pieni di speranza dei bambini che la vivono; un ponte luminoso costruito giorno per giorno tra due mondi all’eccesso; una corda intrecciata dalle mani di chi si pone anche al di là di se stesso, per guardare a mondi e modi diversi.

Varcata la soglia: un grande cortile sabbioso, centinaia di piedi di varie misure, uomini e donne in miniatura, ragazzini, e giovani adulti ci guardano ciascuno con il sorriso tipico della loro età; la musica di questa terra risuona nell’aria. L’emozione, da subito, è stata indescrivibile. Cinque bellissime bimbe, così serene e composte, ci vengono incontro per consegnare a ciascun ospite il proprio lamba. A noi donne viene legato intorno alla vita, agli uomini posato sulla spalla. Tutti i bambini cominciano ad ondeggiare i fianchi e muovere le mani a ritmo di musica. Sento freddo alle gambe -nonostnte il caldo soffocante, i brividi attraversano il corpo e le lacrime non posso fare a meno di rinfrescare il volto, donando a tutto il resto una sensazione di intensa liberazione. Due gruppi di ragazzi e ragazze vestiti con i loro lamba avanzano verso di noi esibendo le danze tipiche di Tana e Tuléar. Giovani donne belle e fiere…quattro soli rossi dipinti sul volto ne proteggono l’onore da un’invincibile vergogna…i ragazzi, sorridenti e vivi…mostrano la propria abilità alzando in aria una lancia di legno…. Da dietro compare all’improvviso un volano di bimbi che in un istante si chinano a sostenere i tre teli colorati componendo la bandiera del Madagascar. Parte l’inno nazionale e tutti lo cantano seriosi. Poi si rialzano, cambiano conformazione, e rappresentano l’Italia. Il nostro inno parte, lo cantiamo sì, ma a bassa voce e con un po’ di imbarazzo…

***

Finalmente, durante la ricreazione, li ho visti correre liberi per l’immenso cortile, saltare come uccellini appena nati, ridere di gusto e attaccarsi alle mie braccia per invitarmi a partecipare a quel gioco sorprendente che è la vita.

***

Cécile è una bambina dell’undicesima classe (I/II elementare), senza palette e con addosso al massimo diciassette chili di pelle ed ossa. La sua energia probabilmente non dipende da ciò che mangia. Ha un viso largo e occhi grandi, solo all’apparenza timidi. Tranquilla e diligente in classe, appena esce nella corte si trasforma in un uragano. Ti stringe la mano e ti porta a giocare il gioco del “Vous voulez savoir” (almeno così lo chiamo io); ti spinge al centro del cerchio, mentre tutt’intorno i bambini che girano tenendosi per mano urlano cantando il nome del tuo pretendente; ma alla fine ti chiedono “Voulez vous savoir la vérité?”, e se tu rispondi di sì, devi puntare il dito verso chi vuoi davvero portare al centro del cerchio. Coi bambini si scherza sempre e sempre solo fino ad un certo punto.

Cécile ha preso gli occhiali da sole di Sandra e il mio cappello di paglia blu e si è messa a fare la diva come neanche Naomi Campbell sarebbe in grado di fare.

10 Febbraio 2017

Masu. Occhi.

Uru. Naso.

Sufi. Orecchie.

Vava. Bocca.

Kibu. Pancia.

Tana. Braccia.

Kimbutsu. Gambe.

« Les enfants sont les meilleurs professeurs! (I bambini sono i professori migliori)», ha detto Andry ridendo, a cena.

« C’est comme ça… (E’ proprio così) »

***

I bambini della settima classe (dagli undici ai tredici anni di età) erano entusiasti di disporre le panche in cerchio in mezzo all’aula per la lettura de “Le Petit Prince”. Le loro bocche si sono aperte a O quando ho iniziato a leggere le prime righe. Soprattutto, mi sono accorta, voltandomi un poco per guardare gli uditori negli occhi, che l’insegnante, seduta vicino a me, era ancor più meravigliata dei suoi alunni. Alla fine del secondo capitolo, ha ripetuto la storia in Malgascio per quelli che non avevano capito bene il francese. Si ricordava ogni minimo particolare. L’ho notato perché spiegava alcune parole traducendole dal francese e quando il piccolo principe faceva una serie di cose lei le numerava una ad una sulle dita. Io la storia me la ero letta tre volte, e ancora dovevo leggerla ai bambini -e non raccontarla- per non dimenticare nulla!

Poi ho invitato i ragazzi a rappresentare qualche scena “per dare vita a quello che avevamo letto”. Suggerivo qualche frase, forzavo la mimica per incoraggiarli; loro ripetevano, si ascoltavano, ripetevano ancora da capo per migliorarsi. Osservarli è stato per me molto istruttivo. Li ho lasciati fare per la maggior parte del tempo. Tra di loro funzionavano già molto bene nel decidere a chi toccava, a ricordare le battute a chi stava in mezzo al “palcoscenico”, a drammatizzare la scena con particolari espressioni e a sdrammatizzare scoppiando in grosse risate.

Non so perché, ma ho lasciato le presentazioni alla fine… così, senza veramente volerlo, ci siamo salutati tutti quanti a dovere, chiamandoci per nome uno ad uno. L’insegnante, alla fine, ha voluto scattare una foto con me -era molto contenta sia del lavoro svolto, sia del mio giovane contributo ed io non potevo che esserne altrettanto felice-, così ho proposto di scattarne anche una con l’intera classe. In un baleno tutti i piccoli attori naturali mi hanno accerchiata; senza esitazioni, ognuno ha trovato subito il suo posto in mezzo agli altri e si è formata una bellissima scultura umana…

11-12 Febbraio 2017

E’ sabato. Eppure anche oggi Rosa e Vula, le inservienti, sono arrivate prima del nostro risveglio.

Rosa sorride sempre. A parte qualche parola, non parla il francese. E’ piccolina di statura, leggera come una farfalla. Avrà una trentina d’anni, ma il viso ancora i una bambina. Le ho dato la mia borsa dei panni sporchi…mi ha sorriso e detto “Merci”. Per me, è difficile in quel momento. Ho cercato di ricambiare almeno con lo stesso sorriso… “Merci beaucoup”…e, abbassando lo sguardo le ho sfiorato con la mia mano la spalla, prima di andarmene a mani vuote.

 

Domenica….A Tuléar è finalmente arrivata la pioggia. Quando siamo tornati a casa dall’escursione ad Ifaty, il corridoio fino alle cucine era allagato. Tutti abbiamo fatto qualcosa per ricacciare l’acqua fuori, oltre la portina che dà sul cortile interno. Chi con le scope, chi con degli stracci, chi persino con i propri piedi, non avendo più nulla a disposizione.

Questa sera la temperatura è scena di almeno sette o otto gradi. Dal rubinetto scorre più acqua e un po’ ne scende persino dal soffione della doccia. Fare la doccia in piedi è stata una vera benedizione.

14 Febbraio 2017

Stamattina sono restata a casa per preparare le attività del pomeriggio: il copione del piccolo principe e un balletto sulla musica di Waka Waka.

Verso mezzogiorno sono arrivati i ragazzi del liceo, che pranzano ogni giorno a Betania. Due ragazzine mi hanno intrecciato i capelli, dopo che Naina le avesse avvisate di portare degli elastici. L’efficacia di questa gente è incredibile. Se hanno in mente qualcosa, lo fanno immediatamente. Per loro non esistono idee che rimangono al vento. Si pensa per fare. I capelli vengono intrecciati nel momento stesso in cui si decide che trama dare alle treccine. E poi, a che velocità! Il ritmo sostenuto, dato dalla costante ripetizione, è un’altra caratteristica tipica di qui. Lo si vede per esempio nelle danze –in cui gambe e braccia si coordinano anche a riti diversi, nel ritmo con cui si tagliano le verdure, con cui si lavora…

Più che treccine, sembrano dei ricami intessuti nella cute. Seguono un disegno tutto loro, particolare e bellissimo.

Il pomeriggio sono andata a scuola. Le bimbe erano sorprese di vedermi pettinata alla loro maniera! Seduta sulla panca a leggere il piccolo principe, Valeria e qualche altra bimba mi carezzavano dolcemente le treccine, mentre il mio cappello faceva il giro della classe.

Nonstante non condivida i modi “occidentali” di celebrazione di alcune ricorrenze, come quella di San Valentino, posso dire di aver ricevuto oggi, in diverse forme, del grande e profondo amore.

 

15 Febbraio 2017

Stamattina alle 8 Jean Jacques ha tenuto un lungo discorso nel cortile della scuola, annunciando l’inizio delle journées des écoles: per tre giorni le lezioni sono sospese per lasciare spazio a giochi e tornei sportivi. Sullo sfondo i muratori posano i primi mattoni delle nuove aule in costruzione.

 

16 Febbraio 2017

Stanotte ho sentito la pancia strizzarsi e mancarmi il fiato. Maledetta fetta di torta. Ieri pomeriggio, alla forneria del supermercato, in preda alla fame (e alla golosia) mi sono comprata un pezzo di dolce da forno e, ormai che si sgarrava, se n’è comprato uno anche per Marco, anche lui goloso come me. Così a stare male siamo stati in tutto tre: perchè la fetta di Marco, ovviamente, l’ha assaggiata anche Cinzia!

Purtroppo il disturbo intestinale è continuato anche per tutta la giornata di oggi… come sempre quando si è malati, il malessere fisico e la debolezza trasportano verso una confusione anche psicologica più profonda; l’esigenza di “scaricare” comporta un passaggio molto fastidioso e doloroso, che già lascia intravedere una futura riconquistata leggerezza.

 

17 Febbraio 2017

Sto meglio, per fortuna, perchè oggi c’è stata la festa finale con tutta la scuola: bambini, insegnanti, educatori, cuoche, noi viaggiatori… eravamo proprio tutti. C’era persino Fali, arrivato a Tuléar questo pomeriggio, con il suo furgone parcheggiato sotto il grande albero in mezzo al cortile.

Tutta la giornata si è animata di intense emozioni. Molte cose iniziate hanno preso un proprio corso o visto una simbolica conclusione. I bambini della sesta e della settima classe hanno rappresentato la prima parte del Piccolo Principe, scoprendosi per la prima volta nel ruolo di attori davanti a un pubblico. Sono contenta di come si sia svolta l’attività sul libro, in generale: spontaneamente e intuitivamente; senza particolari aspettative da parte mia, se non quella di vedere i bambini divertirsi imparando. Quindi, ascoltarli giorno per giorno, cercare di convogliare i loro desideri in un tipo di attività costruttiva, improvvisare ed adattare costantemente il lavoro al momento che si stava vivendo sono state le linee guida che hanno portato ai sorrisi e alle risa dei bambini.

Abbiamo danzato i balli tradizionali malgasci con Andry, Christine e i ragazzi, dopo aver indossato lamba e cappellini di paglia. Sono stati consegnati nuovi libri in francese, ed un pacchettino di vestiti per ciascun alunno della primaria. Infine i ragazzi ci hanno salutati personalmente, uno ad uno, prima di tornare a casa… stringendo loro la mano, o abbracciandoli, non abbiamo mancato di ringraziarli.

***

È l’ultima notte a Betania. Domattina alle 7:30 ripartiamo verso nord. Ci metteremo circa tre giorni per arrivare alla capitale, facendo diverse visite lungo il tragitto.

Jean Jacques, Auguste e Andry vengono a colazione per salutarci un’ultima volta.

 

18 Febbraio 2017

Piena di malinconia e risorta di nuova energia rispetto ai due precedenti giorni di malessere, sono salita sul pulmino di monsieur Fali con il solito zaino a farmi compagnia in mezzo ai piedi. Abbiamo visto le ultime facce allontanarsi da lontano, mentre agitavamo le braccia dicendo “Au revoir!”. La donna che ogni mattina vedevamo appostata al banchetto proprio di fronte al nostro cancello, venditrice di un ortaggio rosa, ci guardava andarcene, appoggiata a un palo del banchetto, con un occhio di curiosità ed uno di tristezza. A volte il tempo inganna anche la noia…

***

Ci siamo fermati nei pressi di Ambalavao, dopo aver visistato una riserva naturale di lemuri. È stato emozionante vedere dal vivo questi animaletti dai balzi agili e scattanti; indescrivibile il paesaggio naturale nel quale ci siamo immersi, dove la fitta foresta cresce in mezzo ad immense rocce di granito, a ridosso della catena montuosa delle “Tre sorelle”, per aprirsi poi sulle distese di riso.

 

19 Febbraio 2017

Da Ambalavao ci siamo spostati fino ad Ambositra. Il viaggio è stato piuttosto breve e leggero. Si è parlato di musica e canzoni, ed Aldo, con il cellulare, ha improvvisato un piccolo karaoke che ci ha fatto cantare tutti insieme alcuni classici italiani. L’atmosfera è molto cambiata dal viaggio all’andata; si è come più leggeri, si ha voglia di scherzare. Forse, come dopo una lunga questione seriosa, si ha voglia di sdrammatizzare prima di tornare al proprio porto di “normalità”.

 

20 Febbraio 2017

A Tana è scoppiato un bel temporale. Vedo l’acqua scendere a fiotti attraverso la grande finestra della camera che mi ospita in casa di Arlette, l’avvocato di Mondobimbi.

Sento uno strano senso di inquietudine, stanchezza e precarietà. Sono stanca di viaggiare.

 

21 Febbraio 2017

L’ultima giornata a Tana è trascorsa tra la visita del palazzo regale, i mercatini di artigianato e souvenirs e un pranzo in un nuovo centro commerciale della città. Nella capitale c’è proprio di tutto. In effetti, il vero sovrano qui è il caos.

Tra tutte le sere in Madagascar, questa è sicuramente la più difficile. I quadretti incorniciati di bianco della vetrata nella stanza lasciano intravedere un panorama di sussultante nostalgia, che mi accompagnerà verso casa, ma solo insieme all’unico, possibile compromesso di ritornare a percorrere le strade di questa terra…

Dopo cena prendiamo per l’ultima volta il furgone di Fali in direzione aeroporto.

 

22 Febbraio 2017

Parigi, aeroporto Charles de Gaulle, 13:40. I miei quattro compagni di viaggio sono già in volo per Firenze. Io sto aspettando la coincidenza per Milano.

Ho mangiato qualcosa per pranzo che, però, mi è rimasto sullo stomaco. Ancora non ci credo di stare tornando a casa. Come se non volessi risvegliarmi da un sogno bellissimo, uno di quei sogni che non hanno un inizio e nemmeno una fine, che non raccontano una storia, ma che donano semplicemente un sapore di inafferrabile serenità… Così, questo mio primo viaggio in Africa, in Madagascar, non ha avuto un vero inizio. È frutto di qualcosa che avevo e che ho dentro da tempo… da un tempo che, forse, nemmeno esiste. L’esperienza che ho vissuto è stata il manifestarsi di una possibilità donata, che ho cercato di cogliere a mani aperte.

***

Ora vedo le vetrine splendenti di Parigi, i soliti inutili souvenirs in vendita a prezzi esorbitanti, i bar rigogliosi di panini farciti. Tutto è grande, grandioso, pulito e ricco. Questa sensazione di “sicura ricchezza” mi scava dentro proprio come mi succedeva prima di partire. Ora però non rimane un buco vuoto sotto la copertina di luccicante apparenza. Al suo posto, sento il segno lasciato da questa nuova, viva esperienza. Sento l’odore delle strade imbellettate di cibo andato a male attaccato dalle mosche, ammiro i colori dell’isola rossa e i sorrisi meravigliosi dei bambini; vedo il sudore del ragazzo che tira il carretto e le mani giunte della bambina che chiede un soldo. E quindi, accanto ad una profonda desolazione, nel percepire l’umana, universale povertà –in tutte le sue contraddizioni esteriori, avverto anche un dolce senso di pace e rifugio nel constatare dentro di me e nei miei ricordi, che la vita, quella vera, in fondo esiste e non è un’illusione; che la speranza e la fede sono lumi accesi in assenza di elettricità.

Le mie Impressioni… di Linda Zinesi

Galleria immagini del giorno 05-22 Febbraio 2017

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